Nicola Ciletti. I falciatori. 1947
Nicola Ciletti. Terra e pane. 1950
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Nicola Ciletti il 6 ottobre 1943 "è costretto" da una folla di sangiorgesi che varcano il cancello del Serrone e glielo chiedono a gran voce a prendere le redini dell'amministrazione del paese abbandonato a se stesso dal giorno del bombardamento americano il 29 ottobre. S. Giorgio la Molara è il comune della provincia di Benevento più duramente colpito dalla guerra, con 35 morti, 66 feriti, 160 case distrutte. Il 6 ottobre i feriti erano ancora senza nessuna assistenza, i morti insepolti, i senzatetto si accalcavano per le strade sconvolte, insieme agli sfollati che continuavano a giungere a piedi da Napoli, da Salerno, da Benevento. La condotta idrica era stata colpita dalle bombe, i tedeschi in rotta avevano razziato le poche derrate alimentari e il bestiame, prima di far saltare la cabina elettrica e il ponte sul T'ammaro, e minare le strade di collegamento. L'assenza di ogni autorità, il rancore, la voglia di rivalsa erano pronti a sfociare in una lotta fratricida. Nicola Ciletti dal balcone del convento dei Domenicani, il mattino del 6 ottobre "si investe del potere municipale", riesce a placare gli animi. Imposta la sua politica sulla linea di una rigorosa conduzione economica fuori dagli schemi. Su sua proposta viene eletto un Comitato, immediatamente operativo. Si seppelliscono i morti, si tenta di raggiungere i paesi vicini per fornirsi di medicinali per i feriti, si apre una sottoscrizione a favore dei senzatetto. Nei giorni successivi si decide di attivare un vecchio molino idraulico, per poter far fronte alla mancanza di farina. Viene ripristinata l'erogazione dell'acqua. Si nomina una Commissione che attua la revisione delle carte annonarie per il pane e le minestre. |
Raggiunta una pur precaria normalità, Nicola Ciletti opera il distacco dal Consorzio veterinario con un paesi consociati. Istituisce la Condotta autonoma, con grande vantaggio per il comune. Alle elezioni del 1946 su 2522 voti espressi, a Nicola Ciletti, primo eletto, vanno 1744 voti individuali. Nel periodo della ricostruzione porta nel suo incarico tutta la forza creativa del suo liberalismo anarcoide con uno stile dai toni forti e coraggiosi. Per la sopravvivenza dei piccoli allevatori e dei pastori poveri, espropria gli abusivi dal Demanio Comunale, che con la connivenza delle autorità avevano eroso fino a cancellarli i 2258 ettari di pascolo comunale. Questo suo atto di giustizia gli procura odio, rancori, processi. Redige un regolamento per la distribuzione delle acque delle sorgenti locali che elimina tutti i privilegi e costituisce un nuovo regolamento organico del personale impiegatizio con criteri di dinamismo e di economia. Avvia, nel 1946, il faticoso iter per la costruzione dell'edificio scolastico, che tra mille ostacoli porta avanti con la "Posa della prima pietra" nel 1949 e la completa realizzazione nel 1951. Con la stessa tenacia si batterà perché si insedi nell'Edificio anche la Scuola Media. Già nella lotta sociale intrapresa nei primi del 900 si era convinto che solo l'istruzione sradicando l'ignoranza che umiliava, piegava all'inerzia morale e alla rassegnazione, la sua gente avrebbe fatto loro acquistare consapevolezza della propria dignità, Interviene nel settore della viabilità, presso la Provincia e i Comuni limitrofi suggerendo miglioramenti e soluzioni alternative, ritenendolo un settore importantissimo per il progresso e lo sviluppo delle comunità. Stila un regolamento per le strade comunali impervie e disagiate. Convince i contadini che hanno proprietà che le costeggiano a dare un contributo in lavoro. Si attiva facendo nominare un tecnico per ampliare, ma soprattutto risanare l'acquedotto. Con la Delibera consiliare n.61/1951 fa approvare 19 lotti edificatori. E' l'avvio alla ricostruzione. Ha seguito con particolare partecipazione l'evolversi della situazione dei senzatetto del bombardamento presso gli organi preposti. Ha espresso, persino con toni bruschi, la sua insofferenza per le lunghe stasi burocratiche dei provvedimenti, quando le scosse sismiche del 1950 hanno aggiunto agli annosi problemi nuove emergenze. Rabbioso e commosso, fieramente arroccato in difesa della sua gente, Nicola Ciletti si è battuto con la stessa veemenza con cui si rivolse alle autorità napoletane, anche attraverso i giornali, nel 1926, quando alcune provvidenze statali avevano finalmente colmato un vuoto giuridico restituendo il diritto alla casa a tutte le classi sociali, "dalle più umili alle meno modeste", ma escludendo gli artisti". In un articolo sul " Mattino di Napoli" il 23 giugno 1926, Ciletti scrive a proposito " ma coloro che vivono del mestiere d'artista non possono neanche essere ammessi nella categoria dei più umili degli operai [...]. L'artista vive esclusivamente con gli incerti proventi della sua arte, senza nulla chiedere né allo stato, né alle amministrazioni [...], dominato dalla febbre della ricerca e della concezione artistica [...] . [...] All'artista nulla deve la società!? Neppure debito di riconoscenza la società crede di avere nei riguardi di coloro che sprezzanti di ogni benessere materiale, chiusi solamente nel loro sogno di bellezza e di sentimento, tormentati dal bisogno, dal lavoro, danno un impronta all'Epoca in cui vivono [...] [...] L'Alto Commissario deve proporsi di risolvere l'importante problema del Rione degli artisti." (in quegli anni Achille D'Orsi vecchio e malato viveva in estrema miseria, come Marino Lenci, e Giuseppe Boschetto era morto da poco in estrema indigenza.) All'istanza dei soci di un circolo privato che gli espongono la situazione ambientale della contrada "Montagna grande" risponde con la delibera n.23/1950 immediatamente esecutiva [...]...sia fatto rilasciare dagli abusivi, il terreno di pertinenza del Lago in contrada "Montagna grande, che dai trenta tomoli di proprietà del Comune, si è ridotto quasi a un pantano, e venga fatto rimboschire e vigilare per evitare ulteriori usurpazioni e danneggiamenti." Per il Sindaco Ciletti l'arte, la storia, e il paesaggio devono essere rispettati e severamente tutelati ...[...] " da leggi che colpiscano inesorabilmente la mano sacrilega deturpatrice della bellezza che si è andata formando attraverso un lungo periodo di anni e che appartiene a tutti perché divenuto patrimonio di tutti ". Così scriveva " Per lo scempio del giardino Hassler" sulle colonne del "Mezzogiorno" 26 - 27 maggio 1922 indignato più di Achille D'Orsi, Carlo Siviero, Vincenzo La Bella ed Ezekiele Guadascione e gli artisti napoletani. L'ultima delle 330 delibere firmate da Nicola Ciletti risale al 16 dicembre 1951, già in un atmosfera pre elettorale. Lo spirito, le finalità della politica paesana sono mutate. Nicola Ciletti se ne sente completamente estraneo. Come completamente estraneo si sentì al ambiente artistico napoletano quando l'arte divenne appartenenza a un sindacato, a una corrente, a un partito. |